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carità e intelligenza. Ecco i motivi pei quali vi ho fatto
fuggire. Credo di avere agito, non secondo la lettera, ma
secondo lo spirito della nostra legge d amore; pure ho
dovuto rompere alcune regole, che anche voi conoscete;
e non l ho fatto senza ansietà e senza strazio. Questa
spiegazione dovevo mettere in una lettera, anche se a voi
non interessa, per la mia coscienza e la vostra.
Dal Vescovado di**, il 22 settembre 19**.
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
LETTERA XXVII
Rita a don Paolo.
Mi condannate duramente; ma, per quanto guardi al
passato, non ne trovo il motivo. Dite che sono egoista;
pure non ne vedo gli effetti, io che mi dolgo di aver sem-
pre subìto l egoismo degli altri. Tuttavia devo ammette-
re che è giusta una vostra lagnanza. Nelle mie ultime let-
tere ho mostrato di essere troppo, ingiustamente felice.
Le ho scritte nel primo sollievo della liberazione, quan-
do ogni moto dell anima era volto solo a godere della
mia nuova vita. Ma voi avete ragione, anche questo re-
spiro pieno di imprevidenza in me diventa peccato. Mi
avete richiamata in tempo ai pensieri piú gravi ai quali
avete diritto. Grazie ai vostri rimproveri ogni ebbrezza è
finita: io sono piú preoccupata di voi; io darei la mia vita
per liberarvi di parte delle immense noie che vi ha por-
tato la vostra pietà per me. Ma vi prometto che mi
asterrò d ora in poi dall usare il mio tempo in pensieri
inadatti alla mia triste condizione.
Da Porta**, il 23 settembre 19**.
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
LETTERA XXVIII
Cesare Colla, chimico imbalsamatore, a Luigi Semin,
commerciante.
Sono venuto ieri sera a cercarti per chiederti consiglio
nel piú grave fastidio che possa capitare a una persona
scrupolosa. Disgraziatamente ho trovato solo la tua ca-
meriera, dalla quale ho saputo che eri partito da due ore
e che saresti tornato tra dieci giorni. Io non posso aspet-
tare, perché vivo già sulle spine; temo di essere criticato
se parlo, ma anche il silenzio può diventare una colpa. Il
mese scorso ero stato invitato a imbalsamare con il mio
nuovo metodo gli scarsi avanzi della Santa sepolta sotto
l altare del Convento di**. Avevo promesso alle suore di
finire il lavoro per la festa dell Ordine, che doveva essere
celebrata solennemente, e nella quale una loro novizia
doveva pronunciare i voti. Perché guadagnassi tempo le
suore mi offrirono alloggio nell alberghetto di campagna
a pochi passi dal convento, dove andai prima da solo.
Mi ero già messo all opera quando la superiora mi
diede anche un altra incombenza, quella di vestire la sal-
ma di raso bianco, con un corpetto celeste, greche e ala-
mari d oro, secondo la moda ora invalsa. Era un lavoro
per mia moglie, specializzata nel vestire alla medievale i
Santi affidati a me, e cosí pratica che non vedo nessuno
che potrebbe sostituirla. Insisto nel dirlo perché mi fu
osservato con poco riguardo che la presenza di mia mo-
glie lassú portava nelle spese un inutile aggravio. La sera
mia moglie e io restavamo nell alberghetto, e posso dirti,
benché questo non c entri con l argomento che mi tur-
ba, che ho constatato quale intelligenza abbia il popolo
e quanto colpevole sia rifiutarsi di coltivarla. La nostra
presenza bastava a smuovere quei cervelli da un apatia
secolare. In pochi giorni eravamo riusciti a portare an-
che i piú rozzi, che prima parlavano solo di mercati e di
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Letteratura italiana Einaudi
Guido Piovene - Lettere di una novizia
semine, agli stessi nostri discorsi. Si parlava a quel tem-
po se fosse meglio lasciare alle salme dei Santi il loro te-
schio scoperto, come io sosterrò sempre, o se sia meglio
ricoprirlo con un falso viso di cera, come purtroppo ha
deciso l Autorità. Credo che il teschio scoperto, nel suo
crudo realismo, susciti piú potenti pensieri di devozio-
ne, mentre il viso di cera attenua troppo la maestà della
morte. Ma forse questo è il modo di giudicare delle per-
sone come noi, e il popolo, che è sempre il popolo, vuo-
le trovare anche in chiesa un briciolo di messa in scena.
Conversando all albergo udivamo parlare della novizia
in procinto di monacarsi, che secondo una voce abba-
stanza diffusa aveva manifestato alcuni dubbi sulla sua
vocazione. Mia moglie e io, quando andavamo al con-
vento, ci sforzavamo di parlarle, ma la trovammo sem-
pre altezzosa e chiusa. La settimana scorsa finimmo il la-
voro e tornammo in città. Tre giorni fa, passando da
Porta**, mia moglie vide alla finestra una ragazza che, a
quanto mi ha assicurato, era certamente la Passi. Se ne
accorse soltanto cinquanta metri piú in là, dopo aver ri-
flettuto di chi fosse quel volto che non le sembrava nuo-
vo; ma subito tornata indietro annotò il numero della
casa in questione (146) da cui uscivano grida come di
due donne in litigio. Ieri l altro mattina, per maggiore
prudenza, mia moglie salí al convento con la scusa di un
piccolo conto rimasto sospeso, e chiese alla superiora se
la novizia fosse già monacata; ma una conversa le aveva
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